Cenni generali iniziali

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Il Castello di Bardi

La fortezza di Bardi è un edificio imponente dalla struttura architettonica complessa, ampliata varie volte, per adattarsi alle lotte che per lungo tempo divisero i signori del luogo, i Landi, dai duchi di Parma. 
La fortezza nasce alla fine del IX secolo per proteggere la popolazione dalle invasioni ungare, poi nel tempo si amplia, la funzione militare si rafforza, e nel XVI secolo, quando i Landi vengono privati delle loro residenze in Piacenza, il castello diventa palazzo signorile
Bardi rimane l'unica e sontuosa dimora del sovrano che amministra uno stato di montagna, cercando di resistere alla politica accentratrice del duca di Parma.

La storia successiva, una volta estinta la dinastia dei Landi, è quella di un territorio che, acquistato infine dai Farnese, duchi di Parma, diventa sempre più periferico.
L'autonomia dei feudatari e delle famiglie dell'aristocrazia locale, che avevano fondato la propria fortuna sul controllo dei valichi e delle vallate appenniniche, viene meno e con il loro potere si perde anche la funzione strategica dei centri di montagna. 

Nel 1862 diventa carcere militare
, poi nel 1868 viene ceduto all'amministrazione comunale.
Nel Novecento il castello è sede del Municipio e al suo interno, poco meno di trent'anni fa, su iniziativa del Centro Studi della Val Ceno, è stato allestito il museo della Civiltà Valligiana. Visitando la dimora dei signori, si riscopre dunque anche la vita quotidiana della popolazione che per secoli ha vissuto ai margini del castello e delle vicende storiche che lo hanno visto protagonista.
 
UNA COMPLESSA STRUTTURA DI DIFESA
 
Il castello si presenta oggi come un'architettura complessa, che unisce all'impianto generale quattrocentescoelementi cinquecenteschi e secenteschi che si intersecano, denunciando ciascuno la propria epoca. 
I beccatelli trilobati quattrocenteschi ad esempio, visibili in più tratti lungo il muro di cinta, scompaiono dentro i muri costruiti nei secoli successivi, quasi a cancellare le precedenti strutture. 

La parte più antica, la cui collocazione non è in asse rispetto al vicino cortile d'onore, sembra essere il Mastio
. Con la sua funzione di ultimo baluardo contro possibili attacchi, è datato intorno alla metà del XIII secolo.

Il castello si sviluppa su diversi livelli, definiti principalmente dai due cortili interni: la 'piazza d'arme' e il più alto 'cortile d'onore', che delimita la zona residenziale creata da Federico II Landi tra fine Cinquecento e inizio Seicento. Ad essi si accede attraverso una lunga rampa che sale dal nucleo più antico del paese alla cima della roccia.
Un primo rivellino, consente l'accesso a questa rampa di acciottolato, probabilmente di origine ottocentesca, nata per agevolare la salita delle carrozze, a fianco della quale corre sulla destra un muro isolato che delimitava la strada coperta, raffigurata in una incisione del 1604; sulla sinistra, dentro ai bastioni sono collocati i più antichi cammini di ronda. 
La rampa prosegue formando un angolo e quindi una volta a botte, realizzati tra il XVII e il XVIII secolo; poco oltre si trova una piazzola che domina la valle. Si giunge infine all'ingresso che dà accesso alla cittadella vera e propria; restaurato a inizio Settecento, mostra i solchi del vecchio ponte levatoio, sotto al quale è stato trovato di recente un ingresso più antico. Passando l'ampio androne, nella retrofacciata si notano alcune finestre in arenaria, del Cinquecento, ora chiuse, parte dei locali del corpo di guardia.
La rampa sale, compie una svolta ad U, in prossimità della quale vi sono due ambienti denominati 'la ghiacciaia', costituiti da due cisterne, che in una mappa del XVII secolo risultavano "da fabricarsi". Dalla superiore piazza d'arme, attraverso un cunicolo, la neve veniva gettata nella struttura in pietra della ghiacciai a, garantendo la conservazione delle derrate alimentari anche nei mesi caldi. 


LA CITTADELLA
 
Riprendendo la rampa, sulla destra si trovano tre cantine a volta, con materiali in deposito del Museo della Civiltà Valligiana. Esse sostengono tre ambienti superiori, accessibili dalla piazza d'armi, destinati nel XVII secolo a "granaro, armeria e magazzino", dove ora sono collocati alcuni locali di servizio. Prima di terminare la rampa, sulla sinistra si trovano alcuni locali con una feritoia, probabilmente stanze del corpo di guardia, destinati nel XIX secolo, come altri ambienti del castello, a civile abitazione; a fianco si trovano i locali con le antiche scuderie, conosciute come "le grotte"
Si giunge quindi sulla piazza d'arme, che aveva funzioni prettamente militari.
Sulla sinistra si entra nelle sale del Museo della Civiltà Valligiana, databile al Seicento, che hanno avuto diverse destinazioni, da appartamenti per i cortigiani, a sede per le strutture amministrative dello Stato e, forse, della zecca e del collegio notarile. Da queste stanze si sale lungo i camminamenti di ronda, tra le parti più interessanti dal punto di vista della struttura architettonica della fortezza. Dalle feritoie, grate e finestre si gode oggi un meraviglioso panorama sulla Val Ceno e la Val Noveglia, mentre un tempo si poteva controllare un'ampia porzione di territorio.
Lungo il percorso si possono visitare le segrete con strumenti di tortura, e un locale con bel forno: questi ambienti, presentati oggi con allestimenti e destinazioni molto diverse, richiederebbero indagini archivistiche e architettoniche per definirne i diversi usi nel tempo.
Dai camminamenti si accede al Museo del Bracconaggio mentre, tra la torre di guardia sud-ovest e quella nord-ovest, si trovano stanze destinate a mostre temporanee, all'interno delle quali sono visibili alcuni beccatelli della cinta muraria quattrocentesca.
Dall'altro dei camminamenti si può osservare la chiesa di San Francesco.
Dal lato nord si arriva alla torre dell'orologio, da cui si scende per giungere sulla Piazza d'arme. 
Da qui si sale lungo la seicentesca scalinata, al cortile d'onore e alla residenza di Federico II Landi.

Fondazione

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LA FORTEZZA DALLA FONDAZIONE AI LANDI
 

La Fortezza di Bardi è stata edificata sulla cima di uno sperone roccioso di diaspro rosso che domina la confluenza del torrente Noveglia con il Ceno.
Fin dalle sue origini appare come una struttura imponente e imprendibile
E le sue origini, d'altra parte, sono una conseguenza delle necessità difensive di una delle epoche più violente e turbolente della storia italiana: il periodo che va dalla fine del IX secolo agli inizi del X. 
Un documento datato 898, infatti, certifica l'acquisto da parte del Vescovo di Piacenza, Everardo, della metà superiore dello spuntone roccioso sul quale è presente una fortificazione, probabilmente di legno.
Il documento precisa che su quella roccia sorge un castello "recentemente edificato", realizzato forse dalla popolazione locale su consiglio del Vescovo stesso. 
Il Regno d'Italia è infatti al collasso, a causa delle continue lotte tra i feudatari per la conquista della corona e ai confini orientali un popolo, gli ungari provenienti dalle steppe dell'Eurasia, si sta preparando ad invadere il paese, approfittando del vuoto di potere. 
La zona di Bardi, già insediamento longobardo, sembra il luogo ideale per il Vescovo di Piacenza e sul territorio erano infatti presenti possedimenti dei monasteri di Bobbio, Gravago e San Salvatore di Tolla.
Il Vescovo, acquistando il terreno su cui sorgeva il castello, cercò quindi di assicurare luoghi di rifugio per i religiosi e gli abitanti contro le scorrerie degli ungari, che si susseguirono a più riprese dall'anno 899 al 955. 
Pare tuttavia che anche in epoca precedente la rupe fosse stata utilizzata come luogo di difesa militare.
Due secoli prima ,i longobardi vi costruirono un presidio, durante la terribile guerra che li contrappose ai bizantini, per proteggere la viabilità appenninica. 
La memoria di quelle vicende rimane in numerosi toponimi, come quello dello stesso paese (da bard, luogo presidiato). I guerrieri che si erano stanziati nell'area (il bosco presso la rupe è ancora noto come Selva degli Arimanni, il nome dei longobardi liberi di portare armi) con il tempo avevano costituito una piccola nobiltà feudale, i Conti di Bardi, che detennero la proprietà dei terreni fino all'arrivo di Ubertino Landi.
Alterne vicende, legate alle lotte tra guelfi e ghibellini, videro i Conti di Bardi in lotta con il Comune di Piacenza, al quale giurarono, infine, fedeltà nel 1185. 

Landi

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I LANDI, SIGNORI DI BARDI

Il dominio dei Landi nelle terre dell'alta Val Ceno e alta Val Taro ha inizio nel 1257, quando un nobile ghibellino di Piacenza, Ubertino Landi, in competizione con il Comune guelfo, acquistò terreni in alta Val Taro e Ceno dai Conti di Bardi; approfittando poi di una crisi del Comune di Piacenza, riusci a farsi investire dei due feudi
Da quel momento il dominio dei Landi sulle due Valli durerà altri 425 anni, consolidandosi in uno Stato che si può considerare il più longevo dominio di una stessa famiglia in Italia. 

Ubertino Landi fu un abile uomo politico che seppe sfruttare la sua posizione di ghibellino in ambiente guelfo, e che per la sua amicizia con Manfredi di Svevia, Re di Sicilia, di cui sposò una figlia, ebbe onori e possedimenti in varie parti d'Italia (Venafro, Iserna, Noto).
Rimasto fedele agli Svevi, anche nei momenti più tragici della loro storia, Ubertino morì nel 1298 a Montarsiccio, dove fu sepolto.


UNO STATO AL CENTRO DELL'APPENNINO
 

Nel XIV secolo, quando le signorie si espansero oltre i confini comunali, assumendo dimensioni quasi regionali, alcuni nobili riuscirono ad imporre il proprio governo sui Comuni più deboli.
E' il caso di Milano, che divenne un ducato governato prima dai Visconti, poi dagli Sforza e che riuscirà a imporsi nel territorio di Parma e Piacenza, dove, invece, mancava una famiglia aristocratica forte in grado di creare una signoria propria. 
In queste città emiliane vi erano infatti solo deboli casati (spesso divisi da faide familiari), che governavano piccoli feudi.Tra questi, spiccavano i Landi, che riuscirono ad imporre il proprio potere nell'area appenninica compresa tra la Val Trebbia e la Val Taro, ottenendo a inizio Quattrocento dagli Sforza l'autonomia e la separazione del proprio feudo dalla giurisdizione di Piacenza
I Landi appartenevano a quella aristocrazia piacentina ghibellina che aveva abbandonato i commerci per radicarsi sul territorio, ma che rimaneva divisa da profondi dissidi. 
Nel tempo i conflitti tra i vari clan indussero a ripartire il già ridotto territorio feudale tra i diversi rami. 
È ciò che accadde ad esempio nel 1491 alla morte di Manfredo Landi, quando i feudi furono divisi tra i suoi figli: Compiano fu ereditato da Pompeo, Bardi e Ferriere toccarono a Federico, mentre Rivalta nel piacentino spettò aCorrado
Solo grazie alla scaltra politica di Agostino Landi, Signore di Bardi, che nel 1532 sposò la cugina Giulia Landi di Compiano, i territori vennero riunificati.
In questo periodo, quando gli stati italiani furono coinvolti nelle lotte tra Francia e Spagna per il predominio della penisola, Agostino Landi si schierò dalla parte degli spagnoli, appoggiando l'imperatore Carlo V
Questi, che fu ospitato dai Landi durante la sua discesa in Italia, ricompensò Agostino nominandolo nel 1551 Principe del Borgo Val di Taro, oltre che marchese di Bardi, conte e barone di Compiano, concedendogli, inoltre, la facoltà di battere moneta. 
Iniziò cosi il periodo di maggiore splendore dello Stato dei Landi che fu governato sul modello delle grandi signorie

Nei primi decenni del XIV secolo, con il consolidarsi del potere dei Landi, la rocca assume sempre più caratteristiche di "fortezza, cioè. di una struttura castrense che racchiude entro le sue mura [ ... ] l'apparato organizzativo di una piccola capitale [ ...] A Manfredo II Landi si attribuiscono i lavori di fine '400, cui si deve la struttura a pianta quadrata della fortezza, così come si vede ancora oggi.
Il robusto torrione dell'angolo nord-ovest. la torre quadrata dello spigolo sud-ovest, la corona di beccatelli corti, la piazzola per l'artiglieria sul lato est tra il secondo rivellino e il ponte levatoio." (Capacchi, "Castelli parmigiani", 1989)
 
 
FEDELI ALL'IMPERATORE
 
 
Bardi, nelle lotte tra Papato e Impero, appoggiò sempre l'imperatore.Nel novembre del 1313 nei pressi della Castello, si svolse una cruenta battaglia tra le truppe guelfe, guidate da Giacomo Cavalcabò, signore di Cremona, e quelle ghibelline, comandate da Galeazzo Visconti. Cavalcabò rimase sul campo e i guelfi furono sconfitti. Il corpo del condottiero si dice sia sepolto dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria delle Grazie, anche se fonti più autorevoli sostengono sia stato sepolto a Parma.
 
 
LA RESIDENZA DI FEDERICO II LANDI
 
 
Se nel Quattrocento il castello acquista sempre più la struttura di fortezza con tutto l'apparato organizzativo dello Stato, tra Cinquecento e Seicento, quando i Landi sono costretti ad abbandonare Piacenza, il castello di Bardi si trasforma progressivamente in palazzo principesco.
Si attuano importanti interventi nell'architettura della fortezza: la corte alta si trasforma in residenza della famiglia, si crea una cappella, si ristrutturano gli ambienti per accogliere la guarnigione a presidio del castello. 
Nella parte bassa del castello nel 1571 si avviano i lavori per realizzare un oratorio palatino da destinare anche a sepolcreto della famiglia. 
Federico Landi negli ultimi anni del Cinquecento arricchisce la fortezza di nuovi elementi: costruisce una ricca biblioteca, una nuova armeria, una quadreria all'interno della quale è menzionatolo Sposalizia di Santa Caterina, pala d'altare realizzata dal Parmigianino e che ora è visibile nella chiesa di Santa Maria Addolorata di Bardi
Entrando nel cortile d'onore si coglie subito l'eleganza degli ambienti di corte: il porticato dorico sulla sinistra, sopra il quale s'intravede il mastio non in asse con il cortile, mentre sulla destra si accede alla sala grande, dove belle finestre a mensola si affacciano verso l'esterno.
All'interno, sulle pareti della sala grande è stata riscoperta nel secolo scorso 
una decorazione a grottesche, simile a quelle dipinte nella seconda metà del Cinquecento nei castelli di San Secondo, Torrechiara, Fontanellato. Dalla sala si accede all'appartamento definito nella mappa del XVII secolo, come "stanze della Signora": nelle prime sale troviamo un soffitto ligneo quattrocentesco a carena di nave rovesciata, che nella prima stanza è sorretto da cariati di e telamoni lignei scolpiti a mezzo busto, rappresentanti un re incoronato, un paggio e due dame. 
Dello stesso periodo è il camino scolpito in arenaria. Nella terza stanza il soffitto è simile alla prima, mentre nella quarta è presente un busto policromo di donna della fine del XVI secolo. 
Il percorso prosegue con le "stanze delle donne", altro appartamento della seconda metà del Quattrocento: una delle stanze ha un soffitto a cassettoni tardogotico e un fregio monocromo con giochi di putti (1544) attribuito a Girolamo Baroni. 
Da questi appartamenti si accede al giardino pensile, ad uso delle donne, del XVII secolo. 
Dopo uno stretto passaggio ad angolo si accede alle stanze del Principe: le prime due destinate a salotto e camera; seguono poi la cosiddetta Sala Grimaldi, dipinta in occasione del matrimonio tra Maria Landi ed Ercole Grimaldi, signore di Monaco, dove è raffigurato lo stemma di Casa Grimaldi con le loro proprietà, mentre l'ultima stanza, con al centro lo stemma dei Landi, ricorda i luoghi dello Stato landiano.
 
 
CONGIURE E LOTTE TRA I LANDI E I FARNESE
 
 
A metà del XV secolo l'autonomia dei Landi dovette confrontarsi con la creazione del Ducato di Parma e Piacenza e con la politica accentratrice del nuovo duca.Il papa Paolo III Farnese nel 1545 concesse infatti al figlio Pier Luigi ampi poteri sulle due città che per anni erano state sotto l'influenza della Santa Sede.Il duca entrò quindi in lotta per il controllo del contado con i feudatari e i signorotti locali (tra i quali Agostino Landi).
Nel 1547 i nobili, spalleggiati dall'Imperatore Carlo V ordirono una congiura ai danni di Pier Luigi Farnese e lo uccisero a Piacenza.
La morte del duca vide ben presto la vendetta da parte di Ottavio Farnese, figlio di Pier Luigi, che nel 1555 a Milano fece avvelenare uno dei suoi più accaniti avversari, Agostino Landi.
L'ombra dei Farnese da quel,momento iniziò ad allungarsi sempre più sullo Stato dei Landi. Nel 1578 il duca di Parma e Piacenza, dopo una nuova congiura, istituì un processo per cospirazione contro il principe Claudio, nipote di Agostino, confiscandogli tutti i beni e i palazzi in suo possesso a Piacenza. Lo stato landiano, che nello stesso anno perse anche Borgo Val di Taro, si ridusse esclusivamente alle giurisdizioni di Compiano e Bardi, dove la famiglia Landi fu costretta rifugiarsi.L'ultimo tentativo di riaffermare la signoria dei Landi si deve a Federico II, figlio di Claudio, che governò dal 1589 al 1630. La sua politica, volta a ristrutturare l'apparato amministrativo e a migliorare l'assetto urbano del borgo, ha lasciato interessanti tracce anche negli ambienti del castello. 
 
Federico II, nel 1630, mancando eredi maschi, abdicò e lo Stato passò alla figlia Maria Polissena, moglie di Giovanni Andrea II Doriai cui eredi nel 1682 vendettero proprio ai Farnese, duchi di Parma, per 124.714 ducatoni, i territori per secoli erano stato oggetto di contese e congiure. Fu la fine dello Stato Landi.
 
 
LA NEGAZIONE DELLO STATO LANDI
 
 
La lotta tra i Landi e i Farnese passò anche attraverso la pubblicazione di mappe del territorio di Bardi e Compiano.
Nel 1604 i Landi pubblicarono una carta ufficiale dei loro Stati (ora in Archivio Doria Pamphilij) che descrive i territori sotto la influenza di Federico II; tra questi spiccano Bardi, Borgo Val di Taro e Compiano.A questa mappa si contrappose, riprendendo lo stile della carta dei Landi per negarne i contenuti, quella elaborata dei Farnese (contenuta nel Codice Barberini 2329 della Biblioteca Apostolica Vaticana) nella quale Borgo Val di Taro, ribellatosi ai Landi nel 1578, non compare nei territori definiti come "occupati dal conte Federico Landi"."I Landi per tutto il XVI secolo, unitamente alle dinastie signorili parmigiane e piacentine, appartengono alla categoria degli 'oltriggiati' dalla creazione dello stato farnesiano e quindi fomentano continui fermenti autonomistici nei secolari possessi di origine feudale.Vari atti di governo compiuti da Federico II vanno interpretati con la volontà dell'affermazione dello stato signorile. La creazione della fiera di San Bartolomeo nel 1599, principale occasione per Bardi per innescare scambi economici con l'entroterra ligure, [ ... ] la promulgazione degli Statuti di Bardi e Compiano sempre nel 1599, [ ... ] rientrano nel quadro delle azioni intraprese per rafforzare un dominio territoriale minacciato dal duca di Parma. Ancora nel 1607 Federico [istituisce ... ] un consiglio aulico feudale [ ... ] e cerca di conferire dignità urbana al borgo, sede del governo landesco. [ ... ] l'istituto del Collegio Notarile nel 1616, le fiere, le pubbliche scuole (1581), la Zecca (1577), il medico pubblico (1581), il monte di pietà (1618), concretizzano, seppur in modo incerto, una 'idea di città'.("La chiesa e il monastero di San Francesco a Bardi", a cura di Sauro Rossi, Centro Studi della Valle del Ceno e Comune di Bardi, 1999).
 
 
 
TESTIMONIANZE D'EPOCA
 
 Famosa è la descrizione dello Stato dei Landi, e in particolare del castello, dello scrittore e poeta milanese Francesco Piccinelli, contenuta in una sua lettera del 1617:

" ... ci stanno le torri ed i bastioni, entro stanze magnifiche, cenacoli, abitazioni. la sede per accogliere i principi splendidamente adorna. con buono e sufficiente presidio di soldati e con apparecchio. fornimento di bombarde e di tutte quelle cose che servono alla guerra ... nella roccia sono tagliate e scavate tante dimore, che in quelle potrebbe trovarsi un comodissimo rifugio per salvarsi. .. "

Anche Carlo Natale (1590-1683), pittore e incisore cremonese, allievo di Guido Reni, ha descritto lo stato dei Landi attraverso una premessa storica. ma soprattutto con una serie di incisioni del castello e dei villaggi dello stato dei Landi.

Grimaldi

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L'ALLEANZA TRA I LANDI E I GRIMALDI
 
A metà del Cinquecento, dopo la nascita del Ducato di Parma e Piacenza, i Landi cercano nuove alleanze attraverso i matrimoni: Claudio II Landi sposa Giovanna d'Aragona, vedova del fratello Manfredo (1565) e nel 1595 Maria Landi, sorella di Federico II, sposa Ercole Grimaldi di Monaco.
Dei rapporti tra i Landi e i Grimaldi rimangono interessantissime vestigia nelle ultime sale principesche, che sono testimonianza anche del tentativo di Maria e Federico Landi di sostenersi reciprocamente nel mantenimento del loro potere

Nel 1592 Federico è impegnato in Spagna a servizio dell'Imperatore e nomina la sorella Maria, appena ventiduenne, governatrice generale dei suoi Stati; Maria oltre a reggere il feudo e ad abbellirlo, dopo essersi trasferita a Monaco, fa affrescare, d'intesa con il fratello, le ultime camere degli appartamenti principeschi con gli stemmi e i possedimenti dei Landi e dei Grimaldi, sancendone un sodalizio che durerà diversi decenni. Federico poi, alla morte della sorella avvenuta nel 1599 e quella del cognato nel 1604 a seguito di una congiura, che lasciò senza guida il principato di Monaco, assunse la reggenza e diventò tutore dei nipoti, accentuando la collocazione monegasca nell'orbita spagnola.
In particolare, la cura del nipote Onorato sembra quasi compensare la mancanza di eredi che continuassero la dinastia dei Landi.
 
La Dichiarazione dell'arbore e discendenza di casa Landi del 1603, nella quale Federico Landi rivendica i suoi possedimenti contro i Farnese, è dedicata proprio al nipote.
La primogenita di Federico, Maria Polissena, che sarà l'ultima Landi, nascerà infatti solo nel 1608, mentre nel 1612 arriverà l'atteso erede maschio; ma nel 1616, con la sua precoce scomparsa, svanirà anche l'illusione della continuità dello Stato dei Landi.

Onorato si occuperà di governare il principato monegasco 
rimanendo nell'orbita dello zio materno e quindi sotto la protezione spagnola, fino a quando nel 1641, con un colpo di mano, Onorato prese possesso della fortezza di Monaco, sottraendo il principato agli spagnoli e mettendolo sotto la protezione dei francesi.
Onorato spiega la sua scelta politica come dettata dalle gravi condizioni in cui versava il suo principato, soggetto sempre più alle prevaricazioni degli Spagnoli, che invece avrebbero dovuto garantirne la sicurezza e la prosperità. 
Riconsegna quindi l'ambita onorificenza del Toson d'oro agli spagnoli e garantisce la sopravvivenza del suo principato, allontanandolo sempre più da Bardi.
Quello dei Landi, invece, nel giro di pochi decenni sarà destinato a volgere al termine.


STORIA DEL LEGAME TRA IL PICCOLO TERRITORIO DI BARDI E IL PRINCIPATO DI MONACO

Onorato II Grimaldi, sotto l'ala dello zio Federico Landi, ricevette quindi la migliore formazione per un nobile di quell'epoca ed iniziò la sua ascesa ai titoli nobiliari. E' proprio grazie ai Principi Landi della Val Ceno e Taro che si elevò al titolo di Principe, diventando quindi il "Primo" Principe di Monaco. "Titolo" in seguito assunto da tutta la dinastia dei Grimaldi di Monaco tutt'oggi regnante. La Fortezza di Bardi conserva ancora oggi importanti testimonianze storiche ed artistiche dei Grimaldi di Monaco, infatti, gli affreschi (di recente restauro) situati nelle "Sale dei Principi", rappresentano gli stemmi e le vedute dei possedimenti del Principe Onorato II. Gli affreschi portati alla luce nel 1997 e successivamente "visti" dall'Ambasciatore Renè Novella in visita a Bardi per una conferenza, pare siano le medesime riproduzioni presenti nelle tavole dipinte, raffiguranti gli antichi feudi del Marchesato di Campagna (1532-1641) posti nel Regno di Napoli ed ora conservate nel Palazzo di Monaco. 

Le stanze della Fortezza dedicate ai Principi Monegaschi evidenziano gli stretti legami che unirono il Principato di Monaco e la Nostra Valle.  Il Comune di Bardi nel 2016 ha commemorato il 40° Centenario della presenza di Onorato II Principe di Monaco.  Tale Evento è stata festeggiato il 24 Giugno, giorno della ricorrenza religiosa di San Giovanni Battista patrono di Bardi e compatrono delle Case Principesche e Sovrane dei Grimaldi e dei Landi.  Il Comune di Bardi e le Associazioni Culturali del Paese Il Centro Studi Val Ceno e Il Cammino Valceno, hanno intrattenuto e coltivato nel tempo legami con il Principato di Monaco con un attento lavoro diplomatico oltre che culturale. Edita dal Centro Studi infatti, è la prima biografia dedicata ad Onorato II di Monaco, scritta dallo storico Riccardo De Rosa con la prefazione dello storico Maurizio Ulino. 

Altra pubblicazione è quella del libro sulla vita di Federico Landi che contiene un intero capitolo dedicato ad Onorato II di Monaco. Sempre nel 2016 il Comune di Bardi aderiva, all' Associazione dei Siti Storici Grimaldi come Membro Antico del Primo Collegio. Scopo dell' Associazione è di riunire, valorizzare e promuovere i Siti storici della famiglia Grimaldi. "Può essere considerato Sito Storico Grimaldi di Monaco qualsiasi Sito che abbia una storia in comune con quella dei Principi di Monaco e che testimonia legami stretti con il Principato di Monaco". 

Principe Alberto di Monaco in visita a Bardi - maggio 2018Dopo due anni di epistolari e contatti con le ambasciate sia di Roma che dello stesso Principato, S.A.S. il Principe Alberto di Monaco accetta l'invito del Sindaco in carica, Valentina Pontremoli, per una Visita Ufficiale a Bardi.  Data fissata per il giorno 15 maggio 2018.  Si mette in moto una macchina organizzativa senza precedenti, che vede coinvolti tutti i reparti dell'Ente Pubblico. Si intrattengono continuativi contatti e scambi diplomatici con il Ciambellano di Corte, l'Ambasciata del Principato in Italia ed il Cerimoniale Comunale. Verranno poi coinvolti tutti i settori della sicurezza pubblica e privata (Prefettura, Questura, Digos) oltre che naturalmente, tutto lo staff Monegasco non solo per il giorno dell'Evento ma anche prima, con delegazioni di incursori. Anche la stampa Locale e Nazionale oltre che le TV private e pubbliche, si occuperanno dell'Evento.  S.A.S. Il Principe Alberto di Monaco e la Sua Delegazione Monegasca arrivano in Bardi il 15 maggio 2018 alle ore 10:00 in Piazza Vittoria, in un paese blindato e per l'occasione eccezionale, bello e "tirato a lustro" più che mai. Visita al paese in corteo, inaugurazione della targa ricordo della giornata posta al Groppo Predella, riqualificato per l'occasione. S.A.S. Il Principe Alberto di Monaco visita privatamente la Fortezza di Bardi per poi accogliere gli invitati nel Salone principale del Maniero, dove viene presentato il volume dedicato ad Onorato II e dove avviene lo scambio ufficiale dei saluti e delle presentazioni. Segue un rinfresco per tutti gli invitati. Nelle Sale affrescate il pranzo privato del Principe e della Sua Delegazione Monegasca con il Sindaco e le più alte cariche politiche, civili, religiose e militari del territorio.  La giornata del 15 maggio 2018 per Bardi e per la sua Storia resterà un Evento di grande importanza sia diplomatica che turistico/culturale. Sarà anche questa l'occasione per dare continuità ad un legame tra il Comune di Bardi e lo Stato Monegasco, "Unione già scritta dalla storia".  Per suggellare, dare lustro e risalto ulteriore, alla Visita a Bardi di SAS Il Principe Alberto di Monaco, l'Ufficio dei timbri del Principato di Monaco, ha prodotto una serie di francobolli a tiratura limitata, con la stampa della Fortezza di Bardi.  Nell' agosto 2020 il Sindaco pro-tempore Giancarlo Mandelli, viene invitato e partecipa a Rimini, come rappresentante Membro dell' "Associazione dei Siti Storici Grimaldi", ad un convegno in occasione del Centenario Felliniano.  E' sempre la Storia che ancora una volta ci insegna su quali valori possiamo costruire il futuro. 



ONORATO II GRIMALDI
 
Onorato II Grimaldi (24 dicembre 1597-10 gennaio 1662) fu il primo Principe Sovrano di Monaco.Egli era figlio di Ercole di Monaco e di Maria Landi.
All'età di diciassette anni succedette al padre sotto la reggenza dello zio, Federico Landi, Principe della Val di Ceno. Landi era un leale alleato e amico della Spagna e permise l'occupazione del Principato da parte delle truppe francesi nel 1605.Agli abitanti di Monaco fu proibito di portare armi per le strade ed il Principe e le sue sorelle vennero trasferiti a Milano.Il Consiglio di Stato di Monaco tentò di limitare il potere spagnolo, ma l'occupazione perdurò sino al 1614, e una forte presenza spagnola rimase sino al 1633, quando Onorato venne riconosciuto Principe sovrano di Monaco.Dall'età adulta, Onorato iniziò a criticare la Spagna e si rivolse piuttosto al supporto francese. Luigi XIII gli accordò questa protezione con risultato il Trattato di Péronne. Questo fatto fece terminare l'influenza spagnola e pose Monaco sotto il diretto protettorato francese, riconoscendo e garantendo la sovranità del principato monegasco. Di conseguenza Onorato perse i propri possedimenti in Spagna ed in Italia, ma venne ricompensato dal Re Luigi XIII con il Marchesato di Baux (anche se questo titolo verrà concesso effettivamente solo al pronipote Antonio I) e col titolo di Duca del Valentinois. Nel 1616 sposò Ippolita Trivulzio da cui ebbe un figlio, Ercole. Alla sua morte, Onorato venne sepolto nella Cattedrale di San Nicola (l'antica cattedrale che sorgeva nel medesimo luogo dell'attuale) a Monaco. Durante il proprio regno si diede da fare per estendere, ricostruire e trasformare l'antica fortezza genovese nell'attuale Palazzo Grimaldi di Monaco.
 
 
 
 

La sala delle torture

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Del periodo carcerario rimane poca memoria, tuttavia una sala nella parte più antica del castello ospita attualmente una collezione di oggetti di tortura. Si tratta di materiale appartenente a diverse epoche, dal periodo dell'Inquisizione al XVIII secolo, quando certe pratiche nei sistemi carcerari e negli interrogatori, fortunatamente, cominciarono ad essere abbandonate. Oggi tuttavia la sola loro presenza desta una forte impressione nei visitatori che entrano nella "sala delle torture".
È una delle prime cose di cui parlano quelli che sono stati al Castello di Bardi detto anche "Fortezza Landi".

Forse perché è una delle parti più suggestive.

Non dimenticatevi però che è visitabile tutto: dalla guarnigione delle guardie, alla ghiacciaia, alle stalle, la piazza d'armi, il cortile d'onore, all'ala nobile con il salone e le stanze, le cucine, ai camminamenti di guardia con i relativi alloggi, i cortili interni e i torrioni.
All'interno si trovano, compresi nel biglietto, il Museo della Civiltà Valligiana e il Museo del Braconaggio e spesso sono ospitate anche mostre temporanee.

Il fantasma Moroello

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Altrettanta emozione suscita negli appassionati di parapsicologia il nome di Moroello.
Questi fu un comandante delle guardie (XV secolo), la cui amata, credendolo morto, si gettò dalla rupe.
Egli affranto dal dolore fece poi altrettanto e oggi il suo fantasma, si dice, di tanto in tanto riappare.
Un'equipe di studiosi del Centro studi parapsicologici di Bologna, con una particolare tecnica ritiene di esser riuscita a fotografare il fantasma: le immagini si trovano in una sala del castello.

I musei

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MUSEO ARCHEOLOGICO DELLA VALLE DEL CENO
 
Presso il Castello di Bardi, compresa nel biglietto di ingresso, è esposta ai visitatori una selezione di reperti, risalenti all’età del bronzo (1600-1200 A.C.), promossa dal Centro Studi della Valle del Ceno “Card. A. Samorè” in sinergia con il Comune di Bardi e con il sostegno di Fondazione Cariparma.

La Valle del Ceno possiede una ricca documentazione archeologica sul popolamento pre-protostorico, scoperta negli ultimi trent’anni, oggetto di volumi, articoli scientifici e tesi di laurea. Il Museo si concentra sulle testimonianze principali dell’era preistorica presenti nel territorio: lo sfruttamento del diaspro del Monte Lama e l’indagine sul sito arroccato del Groppo Predellara a Varsi. Sono temi di grande importanza per l’Appennino Parmense e Piacentino perchè grazie alle risorse naturali che il territorio ha offerto si sono insediate, in diverse fasi del tempo passato, comunità umane con sviluppo economico e insediativo di notevole riguardo.

Alcuni scavi condotti dall’Università di Pisa hanno accertato la presenza dell’uomo di Neanderthal, a cui si sovrappongono imponenti testimonianze della prima cultura archeologica dell’uomo moderno, l’Aurignaziano. L’avvicendamento tra queste due specie umane è uno dei temi pregnanti raccontati nell’esposizione. Il progetto, curato dall’arch. Angelo Ghiretti, è frutto di ben 12 campagne di scavi archeologici nel territorio di Bardi, sotto la guida della Soprintendenza Archeologica e attualmente conservati nel Museo Archeologico di Chiavari (Ge).

L’apertura del museo è un’operazione culturale, ma non solo. È l’occasione per promuovere la montagna della Valle del Ceno, valorizzando un’eccellenza che le è propria e permettendo così di iniziare un percorso che vuole rendere il Museo un importante punto di riferimento per la ricerca storica e scientifica.

Approfondimenti sul Museo Archeologico:
• Scheda sul sito regionale della Sovrintendenza;
• Servizio TG Videotaro sull’inaugurazione;
• Il catalogo on-line. 

La scoperta di depositi preistorici sul Monte di Lama si deve alle ricerche di un appassionato studioso genovese, Osvaldo Baffico (Savona, 1944; Isola del Cantone, Genova, 1979), che li individuò sul finire degli anni sessanta.

Baffico aveva già allora condotto diverse esperienze in zone del retroterra ligure montano, in un paesaggio abbastanza simile a quello dell'Appennino emiliano, con medesime realtà archeologiche e comunanza di metodi d'indagine per l'identificazione sul campo degli antichi insediamenti. Nonostante fosse un archeologo autodidatta si dedicava professionalmente allo studio dell'antica storia economica ligure come assistente alla Cattedra di Economia dell'Università degli Studi di Genova. Effettuò campagne di ricognizione sul territorio, i cui ritrovamenti rimangono tuttora fondamentali, a ormai più di trent'anni dalla sua morte, avvenuta, a soli 35 anni, in seguito ad un incidente stradale. L'annotazione precisa di ogni località archeologica, la siglatura puntuale di ogni reperto, compresi i numerosissimi pezzi da Monte di Lama (quasi quarantamila!), hanno consentito di recuperare allo studio i siti da lui scoperti ed ora rivisitati con moderne tecniche di indagine. 

Dalla scheda sul sito dell’Università di Pisa


MUSEO DELLA FAUNA E DEL BRACCONAGGIO

Il museo nasce da un’interessante raccolta di materiale illustrante il tema del bracconaggio e del trappolaggio. Il nucleo storico di tale raccolta costituiva il Museo delle trappole e del bracconaggio, ideato e realizzato nel 1994 da Giovanni Todaro.
L'Amministrazione Comunale di Bardi entra in possesso della collezione nel 2005 e nel 2007 decide, utilizzando fondi RER e con la consulenza scientifica del Prof. Vittorio Parisi, la riqualificazione del museo.
L'intento principale dell'Amministrazione è stato sia quello di salvaguardare e valorizzare la collezione, dando una continuità storica al museo, sia quello di definire un nuovo rapporto con il pubblico garantendone una miglior fruibilità ed esaltando l’aspetto didattico.
Il Museo viene quindi riconvertito in Museo della fauna e del bracconaggio, volto soprattutto ad illustrare alcuni elementi faunistici autoctoni ed il tema della protezione della fauna, con riferimenti specifici al tema del bracconaggio.
 
Il bracconaggio in passato ha avuto un importante ruolo nella sopravvivenza degli abitanti della Valle ma oggi, ancora ampiamente praticato, è limitato a soli atti barbari ed illegali per la conquista di esemplari rari o all'eliminazione di
specie considerate nocive.
Il museo si suddivide su quattro sale con percorso lineare.
Nella prima sala si introduce il tema del bracconaggio nella legislazione, nella storia e le tecniche più comuni e subdole utilizzate in alcune pratiche illegali come l'uccellagione, i lacci, i bocconi avvelenati, ecc.
 
Nella seconda sala troviamo la sezione dedicata alla C.I.T.E.S, ossia la Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, che regola il commercio e la detenzione di specie rare o in pericolo di estinzione, interessantissimi gli avori custoditi nella vetrina bifronte, come anche le zanne intere di elefante, i carapaci di tartaruga, le conchiglie ed i pellami esposti.
Si ricorda che questi reperti sono provenienti dai sequestri del Corpo Forestale dello Stato e qui esposti a fini didattici.
La tematica della terza sala e della quarta sala è la fauna locale, con rappresentati i diversi metodi di trappolaggio illegale di cui è bersaglio.
I tre grandi diorami in vetro, con gli animali in ostensione, ci permettono di vivere all'interno del bosco, conoscere da vicino le specie che lo popolano ed anche di vedere le insidiose trappole di cui spesso sono vittime.
Sono presenti nella terza sala alcune teche in vetro con uccelli e mammiferi in ostensione tra cui un tasso, un cucciolo di volpe, una puzzola, alcuni rapaci notturni e diurni ed anche un'aquila che preda una lepre comune.


MUSEO DELLA CIVILTÀ VALLIGIANA

Il castello di Bardi è l'emblema della Val Ceno. 
Con la sua imponenza domina il paesaggio e generazioni di valligiani l'hanno temuto o ne hanno ricevuto protezione, seguendo le oscillazioni del pendolo della storia. È quindi coerente con le vicende del territorio che all'interno della fortezza trovi sede anche un museo dedicato in modo specifico alla civiltà valligiana, con i suoi oggetti, domestici o di lavoro, frutto della millenaria esperienza di vita di montagna. 

Il Museo della Civiltà Valligiana si trova nell'ala sud del castello. I locali originariamente erano destinati agli alloggi dei cortigiani e oggi presentano un assetto decorativo semplificato dove emergono le volte a padiglione con cornici in stucco modanate all'innesto. 

La realizzazione di una raccolta in grado di testimoniare la civiltà materiale dell'area, è stata un'intuizione del gruppo di appassionati del Centro Studi della Val Ceno. L'associazione, fondata dal Cardinale Samorè, intraprese fin dagli anni Settanta una raccolta di oggetti della vita contadina, dei mestieri e delle arti (i più antichi risalgono al XVIII secolo) senza trascurare i mobili e l'arredamento. Fu un'opera importantissima, condotta in un periodo in cui si preferiva gettare che conservare, ed oggi, quanto raccolto, costituisce l'ossatura del museo. 
L'ubicazione della raccolta nel castello avvenne pochi anni dopo e furono realizzati diversi allestimenti su iniziativa degli allora presidente architetto Tassi Carboni e segretario Giuseppe Conti. 
Attualmente ciascuno dei sette ambienti dedicati alla collezione, propone uno spaccato specifico della vita quotidiana dell'epoca preindustriale. Le stanze nella parte a sinistra del salone centrale, sono riservate al mondo del lavoro. 
La prima di queste è dedicata alla figura dell'artigiano domestico, con gli oggetti 
necessari alla manutenzione dell'abitazione e gli attrezzi da lavoro; nell'ambiente successivo si incontrano figure tipiche dell'artigianato montano: il falegname, il sarto, il ciabattino.
Tutte sono strettamente connesse all'economia del bosco e della pastorizia: con i loro poveri strumenti provvedevano a fornire agli abitanti la maggioranza degli oggetti di lavoro e d'uso comune, oltre che il vestiario. 
Alle figure del carraio e del maniscalco e dello scalpellino, il cui lavoro coadiuvava indirettamente la comunicazione della valle verso l'esterno, sono riservate le ultime due stanze. Il lato destro (a ovest) è invece dedicato al mondo domestico. La ricca raccolta di oggetti ha permesso la ricostruzione con elementi originali delle due stanze che componevano l'abitazione rurale: la cucina e la camera da letto.

Il Museo della Civiltà Valligiana è interessato da un progetto di riqualificazione. Quando sarà completato permetterà una fruizione più approfondita, grazie a nuovi pannelli descrittivi e a strumenti multimediali che proporranno testimonianze orali della quotidianità del passato.
 
 
IL CENTRO STUDI DELLA VALLE DEL CENO
 

Il Centro Studi della valle del Ceno si occupa della promozione culturale della valle. Nel corso della sua lunga storia, fu fondato nel 1973 dal Cardinale Antonio Samorè (1905 - 1983), consigliere di quattro papi e illustre diplomatico vaticano, che non dimenticò mai le proprie origini bardigiane.
Il Centro Studi si è sempre distinto per una prolifica attività di ricerca storica, artistica e antropologica, raccolta in numerose pubblicazioni e allestimenti temporanei che hanno animato la vita culturale della valle.L'obiettivo del cardinale e dei suoi successori è stato sempre quello di rivitalizzare il territorio facendo leva soprattutto sui giovani.Il Centro Studi è stato protagonista della prima apertura al pubblico del castello e ha curato i primi allestimenti, da cui è derivato il Museo della Civiltà Valligiana. Ha sede in via San Francesco 25 a Bardi.
 

MOSTRA DI PITTURA "ARTE E MESTIERI DELL'EST EUROPEO"

Collezione Ferrarini-Nicoli

Sabato 18 marzo 2017 è stato tagliato il nastro di un’importante mostra dedicata all’arte del XX secolo dal titolo “Arte e mestieri dell’Est Europeo”. L’esposizione caratterizzerà in modo permanente alcune sale del Castello di Bardi, poste a ridosso dei camminamenti di ronda e si configura quale mostra-mercato con quadri e sculture in conto-vendita.

Le opere esposte – 60 dipinti e 16 opere plastiche, provengono dalla  raccolta Ferrarini-Nicoli che ha avuto avvio dalla permanenza decennale di Vittorio Ferrarini a Praga, a partire dal 1992. Da questa esperienza di vita con l’est Europeo post caduta del muro di Berlino, è stata avviata la raccolta di oltre 150 opere aventi come tematica il lavoro. Una scelta in parte dettata a livello autobiografico dall’origine modesta del collezionista il quale, in qualità di figlio di contadini, ricorda di essere stato impegnato da giovane nei campi.

"Molti quadri, sculture o manifesti, sono stati distrutti dalla popolazione dopo la caduta del muro di Berlino e il conseguente abbandono dei Russi dal territorio Cecoslovacco. Forse una reazione naturale che voleva cancellare un lungo triste periodo. Anni di regime e dittatura. Chi era in Cecoslovacchia in quegli anni può ricordare come non fosse difficile trovare, gettati per strada, quadri e sculture distrutte o bruciate. Un vero peccato perché, in parte, si è cancellato un periodo di storia e di arte."

Così commenta Ferrarini, oggi imprenditore, artista e collezionista, che ha portato una parte della propria raccolta, unitamente a quella dell’amico Mario Nicoli incentrata sul cosiddetto Realismo Socialista di metà ‘900. Dal lavoro nei campi e sulle strade, al rapporto con le macchine, prime fra tutte quelle a vapore, dalle attività estrattive, siderurgiche alle fabbriche e all’impatto dell’industrializzazione sul paesaggio urbano e rurale. Ogni sala è dedicata ad un’attività e corposi sono i nuclei dedicati ad importanti nomi di artisti, molti dei quali noti a livello Europeo. Soggetti e tecniche artistiche – dal realismo al raggismo da influenze cubo-futuriste alla cartellonistiche pubblicitaria - che possono essere facilmente ricondotti ai maggiori movimenti d’avanguardia ed esponenti Italiani ed Europei.

L’allestimento è stato curato dal critico d’arte Stefania Provinciali.

Testo tratto dal sito del Castello di Bardi

Ulteriori informazioni sul sito della Collezione Ferrarini-Nicoli

 

MOSTRA "DEVOTA MARGHERITA ANTONIAZZI "

Il Museo all'interno della Fortezza raccoglie il materiale relativo alla storia della Devota Margherita Antoniazzi, comprende:

  • I volumi  inerenti alla causa di Beatificazione che raccolgono copia dei documenti della "Diocesi di Piacenza e Bobbio - Archivio Storico di Costageminiana"; 
  • Modellino che riproduce il complesso di Costageminiana con il Monastero e la chiesa dell'Annunciata ai tempi di Margherita;
  • Cartina del ducato dei Landi, al tempo in cui visse la Devota; 
  • Riproduzione dell'abito monacale delle "Margheritine"; 
  • Tavole esplicative dei luoghi in cui visse la Devota; 

 Alcuni cenni riguardanti la vita di Margherita Antoniazzi:

Una mistica dedita alla carità ad alla preghiera

Margherita Antoniazzi nacque il 9 marzo 1502 a Cantiga di Costageminiana, frazione di Bardi da Carlo Antoniazzi e Bartolomea Merizzi. Rimasta orfana di padre a 12 anni, comincio a lavorare come pastorella di pecore spostandosi tra i paesi vicini. Fu qui che ebbe il suo primo contatto con il gran numero di poveri della regione a cui, spesso, offriva parte delle sue provviste. Secondo alcuni testimoni fu in questo periodo che si manifestarono i primi atteggiamenti mistici, tra cui estasi e visioni della Beata Vergine, imparando a recitare da analfabeta diverse preghiere.

La grotta della Rondinara

Nel 1524 la regione bardigiana venne colpita dal morbo della peste. Tra le vittime ci fu anche la madre di Margherita, Bartolomea, e la stessa ragazza ne fu contagiata; per preservare i famigliari dalla malattia si rifugiò in una grotta detta "Rondinara", dove ancora oggi si festeggia la Devota. Durante la sua permanenza in solitudine, passata in preghiera e nella recitazione del rosario, non mancarono comunque visione della Vergine e di San Rocco, a cui  attribuì la propria guarigione. Riacquistata la salute si prodigò per visitare e pregare nelle varie chiese vicine; fu nella chiesa di San Bartolomeo che Margherita si trovò di fronte ad uno dei numerosi miracoli che ancora oggi fanno parte della tradizione e delle leggende di questi luoghi: mentre si trovava in preghiera davanti all'altare, ove era posto un quadro della Vergine Maria e di Gesu' bambino, ad un tratto l'effige delle Madonna iniziò a piangere in risposta alle esternazioni di dolore di Margherita per la morte portata dalla peste.

La chiesa dell'Annunziata e il Monastero

Sua grande opera fu la realizzazione di una chiesa costruita a Costageminiana con l'aiuto della popolazione locale e del signore di Bardi, il principe Agostino Landi, che le offri in dono il portale del castello di Pietra Cervara, in disuso da molto tempo. Accanto ad esso fu costruito anche un complesso monastico, dove la Devota Margherita si ritirò con le sue consorelle per intraprendere una vita comunitaria, senza per questo venir meno all'aiuto di poveri e bisognosi. Ambedue gli edifici furono presumibilmente ultimati nel 1531 e consacrati nel 1533. Il monastero e la chiesa dell'Annunziata di Costageminiana furono a lungo meta di pellegrinaggi da tutto il territorio circostante, dovuti alla presenza della Devota. Diversi furono i prodigi e le guarigioni miracolose che le furono attribuite, attestate da più parti, tanto che addirittura personalità potenti quali il già citato conte Landi e la sua famiglia andarono a chiederne l'aiuto.

La prima scuola per i bambini poveri

L'analfabeta Margherita Antoniazzi comprese prima di altri l'importanza di migliorare le condizioni di vita della popolazione attraverso l'educazione, decidendo di istituire la prima scuola gratuita della montagna e di tutta la Diocesi Piacentina, con maestre alcune suore, in cui si insegnavano esigue nozioni elementari, catechismo e dove era possibile avere un pasto frugale, non sempre concesso in famiglia.

 

La causa di beatificazione

La devota morì il 21 maggio 1565. Per i suoi vari miracoli e per l'importanza che la sua figura mantenne anche negli anni successivi, dal 5 maggio 1618 due vescovi si susseguirono nei processi per la sua beatificazione. Attualmente gli atti sono a Roma nel proseguimento della causa. 

Ogni anno si celebrano due ricorrenze in memoria di Margherita Antoniazzi

Fonte: Comitato Devota Margherita Antoniazzi (Maggiori informazioni sul sito ufficiale)


MOSTRA "UN SALUTO D'EPOCA - VECCHIE CARTOLINE DELLA VALCENO"

Sabato 18 marzo 2017 è stata inaugurata al Castello di Bardi, presso la prima sala del Museo della Civiltà Valligiana, la mostra “Un saluto d’epoca: vecchie cartoline della Valceno”, caratterizzata da cento esemplari provenienti dal collezionista Filippo Antoniazzi, residente a Varsi, raffiguranti Bardi, frazioni limitrofe e il Castello, di cui la maggior parte viaggiate e testimonianti lo stile di vita a cavallo tra ‘800 e ‘900.

La mostra è stata curata dal "Centro Studi Val Ceno Cardinale Antonio Samorè" che conferma la propria missione nella costante ricerca e valorizzazione del patrimonio storico, artistico ed ambientale e delle tradizioni della Val Ceno.

CARTOLINA POSTALE

La cartolina postale definita (dal regolamento postale definita "cartolina per corrispondenza") viene introdotta in Italia  il 1° Gennaio 1874 dopo che da alcuni anni era in uso all'estero. Inizialmente per le norme Unione Postale Universale solo quelle emesse dalle amministrazioni statali potevano fregiarsi di tale appellativo. Ufficialmente nacque in Austria - Ungheria, emessa dall'Amministrazione postale di quel paese il 1° Dicembre 1869 ( o il 1° Ottobre 1869) come cartoncino postale a tariffa ridotta (il peso ridottone faceva una mezza lettera che giustamente richiedeva meno affrancatura).

Al suo esordio in Italia la Cartolina Postale emessa dall'amministrazione postale era il formato ridotto, aveva impressa una immagine di Re Vittorio Emanuele II°, con il valore postale dell'oggetto impresso sulla cartolina. Per regolamento, da allora, sulle cartoline del Regno fu sempre impressa l'immagine reale. L'impronta con il ritratto Reale era stata scelta per evitare falsificazioni, inoltre era di un colore inedito che non assomigliava a nessun francobollo per evitare ritagli da incollare sulle buste.

Nel 1875 ai fini statistici venne emessa una serie di francobolli per gli usi di franchigia (forniti gratuitamente agli uffici statali che ne dovevano fare uso). Per un periodo prefissato, questi uffici dovettero affrancare la corrispondenza con tali valori applicando la stessa tariffa dei privati e utilizzando un solo francobollo per ogni oggetto, tali invii dovevano essere regolarmente muniti di contrassegno di franchigia con firma del funzionario mittente. Finalmente il 1°Agosto 1889 su insistenza  degli editori e adeguandosi a quanto richiesto  dai partecipanti dell'Unione Postale Universale , anche l'Italia introdusse nella normativa la francatura ridotta anche per le cartoline postali di produzione privata. La prima cartolina celebrativa venne preparata per il 25° della liberazione di Roma.

Nel 1907 si ebbe una sostanziale modifica della normativa U.P.U. relativa al lato fronte delle cartoline per corrispondenza; l'indirizzo poteva essere scritto nella metà destra della cartolina, su cui andava applicato anche il francobollo, lasciando libero il mittente di utilizzare la parte sinistra per la corrispondenza. 

Nell'intento di far propaganda turistica , nel 1936 le Regie Poste tentarono anche la strada delle cartoline illustrate. Si scelsero dieci regioni italiane e di ogni regione si stamparono 12 fotografie delle città o del circondario per un totale di 120 cartoline illustrate. Realizzate con immagini monocromatiche, le fotografie dei monumenti  e dei panorami non ebbero molto successo forse per lo scarso beneficio economico che ne ricavavano i rivenditori di valori bollati, interessati a vendere le cartoline illustrate di produzione privata che permettevano un maggior guadagno.

Al Nord, quando gli eventi dell'otto Settembre 1943 provocarono il cambio di regime alla "Repubblica Sociale", le cartoline postali disponibili erano praticamente solo quelle da 30 Cent. imperiale che riportavano la parola "VINCEREMO".

Durante i periodo Regno del Sud, si diedero poi alle stampe al poligrafo di Roma delle nuove cartoline della serie "Italia turrita"  e anche della serie "Democratica" (furono stampate entrambe con stemma sabaudo; al Nord durante la Luogotenenza per la necessità di cartoline di cartoline , come già detto, si fece approdare inizialmente una cartolina da 50 Cent. (stessa tariffa R.S.L.), poi dopo quasi un anno una nuova serie emessa per l'aumento delle tariffe. Queste ultime come per la precedente non si vollero stampare con lo stemma sabaudo perchè al Nord era poco gradito e, si disse, per non influenzare le votazioni del referendum.

Questa modalità di stampa delle cartoline postali senza stemma venne mantenuta anche dopo la proclamazione delle Repubblica; da allora le cartoline postali non riportarono più lo stemma dello Stato.

CARTOLINA ILLUSTRATA

Sono cartoline con una facciata riservata ad immagini, disegni e fotografie, usata prevalentemente e tradizionalmente per auguri e saluti in occasione di ricorrenze e viaggi recanti a volte solo la firma e la data, oppure più frequentemente dei convenevoli, con un massimo di cinque parole o cinque iniziali (considerate parole complete dai regolamenti postali).

Inizialmente ebbero una storia travagliata per la poca chiarezza delle normative postali; in effetti nacquero come  "stampe illustrate". Non bisogna però dimenticare la grande diffusione della cartolina illustrata a fine Ottocento, nel 1899 si ebbe a Venezia anche una "Esposizione Internazionale di Cartoline Postali Illustrate".

A cavallo del Novecento la cartolina illustrata divenne un fenomeno nuovo, paragonabile all'odierno internet, con cui milioni di persone si scambiavano saluti da un luogo all'altro del mondo per mostrare a chi stava a casa, per la prima volta nelle storia, i luoghi visitati dal turista.

Altri parteciparono alle catene di corrispondenza, modalità diffusissima in tutto il globo, per il solo piacere di scambiarsi immagini esotiche da collezionare che facevano sognare.

Inoltre come non ricordare le belle illustrazioni di "art nouveau" che  grandi artisti della grafica dedicarono al fenomeno delle cartoline postali?. Una annotazione da ricordare: durante la prima e la seconda guerra mondiale le cartoline illustrate con panorami erano vietate sia per l'interno che per l' estero.  In Italia la cartolina postale comparve nel gennaio 1874 e solo successivamente arrivò la cartolina illustrata: la prima fu creata nel 1896 in occasione delle nozze del principe Savoia di Napoli (poi re Vittorio Emanuele III) con la principessa Elena di Montenegro e riportava sul fronte gli stemmi italo-montenegrini.

La diffusione della cartolina  segnò,in Italia e all'estero, l'inizio di un modo più rapido ed agile di comunicare, annullando le distanze dei luoghi più o meno lontani.

Il fenomeno del collezionismo è per le cartoline illustrate piuttosto precoce, se si accredita la prima Esposizione Internazionale di Cartoline Illustrate aperta alla partecipazione di tutti i paesi , si sia tenuta proprio in Italia, a Venezia , nell'estate del 1899.

A partire dai primi anni del 1900 la cartolina illustrata divenne quindi, anche grazie alla nascita e al rapido affinamento delle tecniche fotografiche, uno dei principali veicoli d'informazione ed una delle più capillari testimonianza della trasformazione del paesaggio: non ha rappresentato soltanto il resoconto di viaggio, ma ha costituito, da subito, una testimonianza storica, mirando spesso ad immortalare tanto la vita di tutti i giorni, dalle persone ai mezzi di trasporto, quanto la progressiva evoluzione di un paese o di una città in continuo cambiamento, indizio del mutamento paesaggistico, artistico e culturale.

Spesso la ricchezza di questa documentazione consente di percepire e apprezzare la situazione abitativa e, in parte commerciale, secondo i gusti e le inclinazioni dei fotografi delle case editrici di cartoline d'epoca che curavano forse più la parte tecnica di quella folcloristica; infatti, sicuramente, viene meno l'identificazione della gente (spesso scarsa e anonima), ritratta , a volte in posa, nelle vecchie vie e tra le vecchie case dei paesi. Comunque questo materiale è molto utile per ricostruire e ricordare il passato quanto per capire il presente, anche dal punto di vista della memoria e dello sviluppo urbanistico.

Fonte: Tavole esplicative della Mostra

Contatti

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Come contattare il Castello di Bardi
Gestore: ONLUS Diaspro Rosso - Piazza Castello, 1 - 43043 Bardi (Pr)
Tel: 0525 733021
Cell: 380 1088315

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ORARI DI APERTURA DURANTE L'ANNO
per gli orari di apertura fare riferimento al sito www.castellodibardi.info
o telefonare (soprattutto durante i mesi invernali)